Per molti esiste
una sola discriminante in base alla quale giudicare un attaccante. In
barba ai “falsi nueve”, ai centravanti di manovra, a quelli
“moderni”, quelli che tanto si sacrificano per la squadra, per
tanti l'unico criterio in base al quale un attaccante dev'essere
giudicato è quello dei gol segnati. Perchè è il gol l'obiettivo
del gioco, è il gol ad emozionare, a far gridare le folle: è il gol
l'unica cosa che conta davvero in un mondo, quello del calcio, che è
stato sviscerato ed analizzato in ogni suo più piccolo dettaglio.
Utilizzando solo
e soltanto questo criterio, mettendo in fila gli attaccanti che hanno
gettato più palloni di cuoio in fondo al sacco nell'ultimo secolo,
vien fuori che il giocatore più prolifico in gare ufficiali, e
quindi il miglior attaccante della storia – sempre tenendo conto
esclusivamente di questa discriminante – risponde al nome di Josef
Bican, ariete austriaco naturalizzato cecoslovacco in attività tra
gli anni Trenta e gli anni Cinquanta: si stima, sebbene i dati
dell'epoca lascino sempre qualche riserva, che abbia segnato più di
805 reti in partite ufficiali. Dietro di lui Romario, Pelè, Puskas e
Gerd Muller: mostri sacri, leggende del pallone in carne ed ossa. Al
sesto posto, in questa classifica, si trova un giocatore che,
malgrado un numero di reti segnate da far strabuzzare gli occhi, non
gode della fama di chi lo precede in graduatoria. Se sentendo
pronunciare i nomi di Pelè, di Romario o di Puskas, quasi ogni
appassionato di calcio drizza le antenne, così non accade facendo il
nome di Ferenc Deàk. Eppure c'è lui, con più di 576 palloni
mandati a gonfiare la rete, al sesto posto della classifica marcatori
all time in gare ufficiali.
Il suo nome, ai
più, dice ben poco, eppure Deàk precede monumenti come Seeler, Hugo
Sanchez, Di Stefano e Nordahl. Perchè, a differenza di queste stelle
del firmamento del pallone mondiale, Deàk è finito nell'oblìo? La
risposta è molto semplice: Deàk nell'oblìo non ci è finito da
solo, bensì ci è stato spinto con forza. Perchè c'è stato un
tempo in cui segnare grappoli di gol non era condizione sufficiente
per guadagnarsi fama e successo.
Quel tempo, in
Ungheria, corrisponde con il periodo a cavallo tra gli anni Quaranta
e Cinquanta. Ma per raccontare la storia di Ferenc Deàk, e di come
uno degli attaccanti più letali della storia del calcio finì nel
dimenticatoio, serve fare un passo indietro. Fino al 1922, quando a
Budapest Ferenc vede la luce. Delle sue origini, dei suoi primi anni
di vita, ben poche informazioni sono arrivate fino a noi. Si sa che
giocava a calcio, si sa che aveva talento, e che pur non avendo
fisico e tecnica eccezionali sopperiva con quello che oggi chiamiamo
“fiuto del gol”: quella capacità di trovarsi al posto giusto nel
momento giusto, quel sesto senso che permette solo a pochi eletti di
anticipare il corso degli eventi, beffando così difensori sempre un
attimo in ritardo. Questo, in estrema sintesi, era Ferenc Deàk. Fu
nello Szlentorinci, squadra di terza divisione, che Ferenc mosse i
primi passi e, naturalmente, segnò i primi gol. Gol che trascinarono
la squadra fino alla massima serie magiara, prima che la mannaia
della Seconda Guerra Mondiale arrivò ad interrompere il naturale
corso degli eventi, e quindi anche dei campionati di calcio. Ma
Ferenc non perse tempo, e nel primo campionato dopo la fine del
conflitto diede spettacolo: nel 1945-46 Deàk stabilisce un record
che resterà per tantissimi anni imbattuto, segnando la strabiliante
cifra di 66 reti in 34 gare. E si ripete, con numeri più contenuti
ma sempre impressionanti, nell'annata successiva: 30 apparizioni, 48
reti, il tutto giocando per una squadra, lo Szlentorinci, che non
eccelle e naviga a metà classifica. Una squadra che sta stretta a
Ferenc, che così, per la stagione successiva, dopo 114 gol in due
anni, si trasferisce al Ferencvaros.
E anche qui
Bamba continua a strabiliare. “Bamba”, questo è il soprannome
che i tifosi ungheresi gli hanno dato. Letteralmente significa
“lento, tardo”, ma nel caso di Deàk non è di certo un'offesa.
Si tratta di un nomignolo inventato per rendere l'idea di quel che
Ferenc è sul campo: spesso ciondolante a centrocampo, quasi pigro,
totalmente estraneo alla manovra e a ciò che gli accade intorno. Ma
è solo un'apparenza, perchè quand'è il momento giusto, quando
arriva l'invito giusto da parte dei compagni, “Bamba” è svelto,
micidiale, spesso letale nello scattare e nel planare rapace su ogni
pallone. Sfracelli anche con il Ferencvaros, dicevamo: al primo anno
40 reti in 31 partite, dietro a un altro Ferenc, quel Puskas di cui,
da lì a qualche anno, si parlerà molto, che ne fa 50. Nel 1948-49
la stagione perfetta per “Bamba”, con il titolo ungherese e
quello di capocannoniere: le sue 59 reti trascinano i biancoverdi al
trionfo. Uno così, uno come Deàk, non può chiaramente rimanere
fuori dalla nazionale: con la rappresentativa magiara Ferenc gioca 20
partite a partire dal 1946, e anche qui il vizio è il solito, i gol
sono 29, per una media ancora una volta spaventosa.
Ma è qui, a
cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, che torniamo all'inizio di
questa storia, è questo il momento in cui a Deàk i gol, il talento,
le prodezze, non bastano più. Gli si chiede di più, gli si chiede,
come a tutti gli altri sportivi più celebri, di mostrare fedeltà al
regime comunista instauratosi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Al di
là della Cortina di Ferro, tutto dev'essere allineato alle direttive
sovietiche in arrivo da Mosca. Anche il calcio. Ed è seguendo questa
linea che Gustavz Sebes, ex vice-ministro dello Sport e, dal 1949,
commissario tecnico della nazionale magiara, vara una riforma che
mira ad associare le principali realtà calcistiche nazionali alle
maggiori istituzioni dello stato. Così il Kispesti diventa la
Honved, letteralmente “difesa della patria”, dal nome
dell'esercito dell'impero austro-ungarico: in estrema sintesi, la
Honved diventa la squadra dell'esercito. Il Vasas diventa la
rappresentativa del partito comunista, l'Ujpest Dosza quella del
Ministero degli Interni. Ogni singolo ambito della vita dello stato,
rilevante o ininfluente che sia, deve insomma allinearsi
all'ideologia del partito. E così devono fare le persone, compresi i
calciatori, anche se a questi ultimi, per la verità, è concessa
qualche libertà in più, dato il loro status di ambasciatori del
regime sui campi d'Europa e non solo: c'era così chi si dichiarava
pubblicamente fedele al regime, c'era chi si manteneva più
distaccato e neutrale. C'era però chi di quell'ideologia non ne
voleva davvero sapere, chi apertamente rifiutava qualunque cosa
avesse a che fare col partito comunista. Ed è proprio questo
rifiuto, quest'ostilità che “Bamba” non cela nei confronti del
regime, a segnare la fine dei suoi giorni da campione, e
contemporaneamente l'inizio della discesa verso l'oblìo.
Deàk
gioca la sua ultima gara in nazionale contro la Svezia nel 1949, una
vittoria per 5-0 in cui Ferenc, tanto per non perdere l'abitudine,
segna un gol. Poi, con Sebes in panchina, per lui non c'è più
spazio. Perchè Bamba non si allinea al regime, e questo status di feroce anticomunista pesa più di
242 gol segnati in stagioni dal '45 al '49. Su di lui, poi, pesano
anche accuse di spionaggio: tesi mai provate, probabilmente montate
ad arte dal regime per screditare un suo fiero oppositore. Nel 1950,
poi, Ferenc firma definitivamente la sua condanna: in un bar fa a
pugni con due agenti dell'Avh, la polizia segreta ungherese,
appendice degli apparati di sicurezza sovietica. E' il passo falso
che il regime aspettava: Ferenc sparisce, non solo dalla lista dei convocati di quella che si appresta a diventare l'Aranycsapat, ma proprio dalla circolazione. Per qualche settimana nessuno lo vede più tra le strade di Budapest: si dice che sia rinchiuso nella "Casa del Terrore", il quartier generale dell'Avh, al numero 60 di Andràssy ùt. Il partito concede a Bamba una scelta: da
una parte il trasferimento all'Ujpest Dosza, squadra del Ministero
degli Interni, dall'altra la galera. Ferenc sceglie la prima via,
sceglie di piegarsi per evitare di finire - di tornare - in prigione. Continua a
giocare, ma lo fa senza più passione. Giocare non è più un
piacere, bensì un dovere, utile solo ad evitare la galera. E poi, se
242 reti in 4 stagioni non sono stati sufficienti per prendersi un
posto in nazionale, che senso ha dannarsi l'anima e spremersi per un
traguardo che, in ogni caso, gli resterà precluso? Ferenc rimane
all'Ujpest fino al 1954, le medie realizzative sono buone, non più
spaventose come quelle degli anni precedenti, ma sufficienti a
mantenere la squadra costantemente nelle prime posizioni. Poi quattro
stagioni nelle serie inferiori con le maglie di Vm Egyetèrtès, Bp
Spartacus, Bfc Siòfok e ancora Egyetértés. Poi il ritiro, nel
1957, un anno dopo la rivoluzione repressa con il sangue dai carri
armati dell'Armata Rossa.
La
carriera di Bamba, però, era di fatto finita sette anni prima, dopo
quella scazzottata in quel bar di Budapest, dopo l'estromissione da
una nazionale che si preparava ad entrare nella leggenda. Già,
perchè quella di cui Deàk non ha potuto far parte non è una
nazionale qualunque, è l'Aranycsapat, la “squadra d'oro”
trascinata da una generazione di fenomeni germogliata negli anni
della Seconda Guerra Mondiale ed esplosa in tutto il suo splendore
dopo la fine del conflitto. Una formazione meravigliosa, incapace di
fregiarsi dei titolo mondiale, ma trionfante alle Olimpiadi di
Helsinki e nella Coppa Internazionale del 1953. Uno squadrone in
grado di segnare la storia del pallone scrivendone pagine
indimenticabili, come lo storico 6-3 inflitto ai “maestri inglesi”
a Wembley. Una selezione di stelle di prim'ordine come Puskas,
Kocsis, Hidekguti, Czibor, diventata grande anche senza Deàk, che
pure a pieno titolo avrebbe potuto farne parte. Eppure,
paradossalmente, proprio l'esclusione di Deàk fu madre di uno dei
capolavori tattici di Sebes: senza “Bamba” mancava il
centravanti, così il ct pensò di arretrare di alcuni metri il
raggio d'azione di Hidekguti. Fu una rivoluzione, era l'invenzione
del ruolo di centravanti di manovra, antesignano dell'odierno “falso
nueve”. Cambiò il calcio, quella squadra, ne segnò un'epoca.
Deàk
non potè fare altro che guardare da lontano i suoi vecchi compagni;
lui, da esiliato, osservò abbassando la testa i suoi amici scalare
vette inesplorate del mondo del pallone. “Quando vedo le repliche
del 6-3 all'Inghilterra, mi giro dall'altra parte”, dichiarò
“Bamba” qualche anno più tardi. Aveva rispettato i suoi ideali,
ma aveva pagato a caro prezzo la sua scelta, con quel retrogusto
amaro del rimpianto che lo avrebbe accompagnato per la vita intera.
Morì nel 1998, due anni dopo quell'Ungheria che lo aveva rinnegato
gli conferì l'Hungarian Heritage Award, riconoscimento destinato a
personaggi particolarmente meritevoli nella cultura, nell'economia,
nelle scienze o nello sport.
Da
lassù, forse, a “Bamba” sarà scappato un sorriso amaro. Perchè
l'orgoglio per aver rispettato i suoi ideali resta, ma nessun
riconoscimento potrà mai cancellare il rimpianto di non aver scritto
la storia insieme ai suoi vecchi amici, quelli dell'Aranycsapat,
nonostante 242 gol in 4 stagioni.
[A.D.] - www.liberopallone.blogspot.it - Riproduzione riservata
FONTI
1-
https://www.stopandgoal.net/2014/04/02/rubriche/miti-a-meta-tra-calcio-e-partito-non-mettere-il-dito-ferenc-deak/
2-
https://trequartismi.wordpress.com/2016/09/18/deak-un-bomber-nelloblio/
5 -
http://www.hatharom.com/2011/06/20/deak_ferenc_a_csalodott_golrekorder_portre
6 - "La squadra spezzata - La Grande Ungheria di Puskas e la Rivoluzione del 1956 - Luigi Bolognini - 66th and 2nd, 2016
6 - "La squadra spezzata - La Grande Ungheria di Puskas e la Rivoluzione del 1956 - Luigi Bolognini - 66th and 2nd, 2016
FOTO
1-
www.trequartismi.wordpress.com
2-
it.wikipedia.org/wiki/Ferenc_De%C3%A1k_(calciatore)
3-
www.xtralegend.blogspot.it
4-
www.hatharom.com
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